“Addio, mia bella addio”: le battaglie del Risorgimento italiano

Data: 12-03-2011
Luogo: Pietrasanta, Sala delle Conferenze della Croce Verde

Relatore: Bianca Maria Cecchini

Diverso tempo fa ho capito che per la maggior parte della gente che vorrebbe definirsi colta e che sa tutto di Ipod, Ipad e hi-tech, il Risorgimento non è nient’altro che un’espressione letteraria. Esattamente come per Metternich l’Italia era un’espressione geografica. E, per la precisione, l’ho capito quando un ragazzo molto griffato e di buona famiglia, posto di fronte alla necessità di definire due periodi storici assai lontani mi chiese serafico: "Scusi prof., ma che differenza c’è fra Rinascimento e Risorgimento? Rinascere, risorgere, ma non è uguale, non vogliono dire la stessa cosa?". Non so che lavoro faccia oggi l’ardimentoso ragazzo; quello che voglio significare con l’episodio è che, già da tempo, il patrio Risorgimento, uno dei momenti più esaltanti ed eroici della nostra storia nazionale (almeno secondo me), tocca poco, per non dire pochissimo la sensibilità comune e l’immaginario collettivo. Oggi poi, fra revisioni e voglia di federalismo, è ancora peggio e le celebrazioni per il 150.° anniversario dell’Unità sanno tanto di "lo devo fare, ma non ne ho nessuna voglia". La stragrande maggioranza degli italiani nemmeno sa cosa sia il Risorgimento e quei pochi che lo sanno a grandi linee, quando sono stati obbligati a studiarlo a scuola, si sono annoiati a morte. Perché la storia seria e compunta ha pochissimi estimatori, anzi ormai quasi nessuno, se vogliamo escludere qualche vecchio erudito in una delle istituzioni create appunto in epoca post unitaria. Io, invece, nel Risorgimento ci credo, sarà anche solo perché il mio trisavolo fu un garibaldino, di quelli dei Mille; sarà perché mio nonno aveva in soggiorno i ritratti di Mazzini e Garibaldi; sarà perché, per un motivo o per l’altro, sono cresciuta nel culto dell’unità d’Italia e del sacrificio di tanti giovani andati a morire per un ideale che era quello della nascita di una nazione e della cacciata dello straniero invasore ed oppressore. Sarà perché non comprendo come si faccia a pensare che la storia sia noiosa, quando è invece la radice del nostro presente e solo in quella si trova spiegazione a quanto oggi accade. Ma che c’entrano le battaglie del Risorgimento con la nostra attualità? C’entrano, perché, il significato di una battaglia non si ferma al puro significato bellico e all’epoca in cui è avvenuta; specie in un contesto storico caricato di idealità, come, ad esempio, fu nel caso di Curtatone e Montanara. Alle porte di Mantova, in un rapporto di 1 contro 4, giovani provenienti dal regno di Napoli e dal Granducato di Toscana impegnarono l’esercito asburgico di Radetzky. Mal equipaggiati, indisciplinati, senza mai avere avuto esperienze di guerra o equipaggiamento degni di questo nome, per un’intera giornata trattennero un nemico di molto superiore per numero, armi, addestramento. Ve n’era abbastanza per parlare di ‘Termopili toscane’, per richiamarsi all’età classica, di cui era imbevuta la maggioranza dei patrioti. Tra vittorie e sconfitte, ogni battaglia fu un passo del lungo processo di unificazione nazionale, l’origine della nostra attualità che troppo spesso non conosciamo, o disconosciamo.


 

 

Istituto Storico Lucchese – Sez. “Versilia Storica”
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