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Cecco frate e Giosuè Carducci

Il Padre Francesco Donati che richiamava alla necessità di abbellire la cappella della Madonna del Soccorso fu grande amico del Carducci. Il poeta, nato a Valdicastello il 27 luglio 1835 ( la disputa sulla data esatta, se 27 o 28 non è ancora sciolta del tutto) visse con la famiglia a Seravezza, nella piazza che porta il suo nome, dal 15 dicembre 1836 al 31 luglio 1837. Il padre Michele, in precedenza medico alle miniere di Valdicastello, si era spostato qui in occasione di una epidemia di colera per supplire il Dottore di Condotta, colpito da grave malattia. Ma non fu certo in quella occasione, data la tenerissima età del poeta che nacque l'amicizia col frate calsanziano. Andiamo con ordine: Francesco Donati crebbe orfano di padre, di cui portava il nome, fin da prima della della sua nascita avvenuta il 16 marzo 1821 a Seravezza, località Marcaccio. La mamma Carlotta Canci lo allevò con amore e la sua fanciullezza, nonostante le ristrettezze economiche, fu serena. Riuscì a studiare a Pietrasanta dagli Scolopi e poi a Firenze. Nel 1846, vestito l'abito calasanziano, prese ad insegnare matematica a San Giovannino degli Scolopi ( poi Liceo Ginnasio “Galilei” di Firenze). Fu durante questo periodo che conobbe Carducci che, allievo dal 1849 al 1852 delle Scuole Pie in San Giovannino, frequentava i corsi di umanità, retorica e scienze e dove ebbe come maestri tre grandi maestri versiliesi: padre Geremia Barsottini di Stazzema, padre Eugenio Barsanti di Pietrasanta e infine il Donati che, se non fu vero proprio maestro di discipline, fu punto di riferimento, confidente sicuro, consigliere amato e guida. Alcune lettere del 1853, dove il Carducci si rivolgeva al “suo caro Cecco” col “tu” , danno la prova della confidenza che si era stabilita fra i due. Il poeta e il Donati contavano di ritrovarsi nell'estate di quell'anno, ma proprio l'epidemia colerica che rinsaldò la devozione per la Madonnna del Soccorso, impedì loro di muoversi. Il Donati, per inciso, fissò quell'atmosfera da incubo nella ballata “L'Orfanella”, ispirata ai luttuosi fatti di quell'edpidemia. Forse sarebbero anche in sintonia con il presente, di certo lo è il distanziamento che i due amici dovettero sopportare. Nel 1857, ultimo anno del Corso della Scuola Normale Superiore e primo anno di insegnamento al Ginnasio di San Miniato, il Carducci continuò a frequentare la cella del Donati che sapeva destreggiarsi bene in letteratura. E la poesia con l'ardore risorgimentale furono collante ed alimento dell'amicizia. Da Pietrasanta il frate scriveva in una lettera “Addio, viva la guerra. Mi sento tentato di pigliar lo schioppo: viva la guerra .Addio, saluta Targioni e Carducci. Ama il tuo Cecco.” Empoli, Siena, Urbino, Imola, furono le città dove il Donati insegnò fino al rientro, nel 1876, nella sua casa di Torcicoda a Seravezza dove il 5 luglio del '77 lo colse la morte. I suoi componimenti di incontrarono il plauso degli “amici pedanti”, di Chiarini oltre a Carducci che al frate inviava le sue liriche per averne “un libero giudizio”. E a sua volta giudizi il Carducci ne espresse su di lui “....una prosa e canzone tua lessi con molto piacere, elegantissima la prima, dignitosa e forbita e immaginosa, come oggi non se ne fa, la seconda”. Pugnacità e poesia, gli ingredienti di un' amicizia che neanche l”'Inno a Satana” riuscì a scalfire.

Anna Guidi

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