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Un archeoclub, le sue scoperte e il suo composito territorio

Sono grata all’Istituto Storico Lucchese, sezione della Versilia, di offrirmi l’opportunità di collaborare con studiosi e appassionati della storia del territorio e di far conoscere l’associazione culturale che mi onoro di presiedere.

L’Archeoclub Apuo Ligure dell’Appennino Tosco Emiliano, ALATE il suo acronimo, è una sede comprensoriale che fa ricerca sul territorio di confine tra le tre regioni incluse nella sua denominazione: della Toscana indaga la zona se vogliamo meno toscana in senso proprio, quella che anche in ambito culinario (e cosa c’è di più vero e certificante del cibo?!) risente sì degli arrosti toscani al rosmarino e della pancetta ripiena, ma parimenti risente della Liguria, con il cibo povero medioevale delle sue origini, i testaroli, conditi con pesto di basilico genovese, e altrettanto risente dell’Emilia con i tortelli di zucca.

I monti sono quelli che dal Mar Ligure/Alto Tirreno, da una parte vanno verso la pianura padana, nel Medioevo e fino alla prima metà del Novecento denominata Lombardia dai Longobardi, ma dopo la sedimentazione di millenarie stagioni ha ora ripreso la precedente denominazione romana di Emilia, mentre dall’altra parte si congiungono per il tramite delle Apuane, alla catena dell’Appennino centrale, versiliese come primo aggancio. Di qua e di là dai monti, secondo la linea del parallelo e anche in continuità degli stessi lungo il meridiano, amici e studiosi, per dirla secondo i precetti della grammatica maschilista, incluse alcune grandi donne, ricercatrici di incisioni rupestri eccezionali, storiche e letterate dal fine poetico sentire, persone normalissime dunque, s’incontrano sulla base di affinità elettive, storiche (anche di storia personale) e geografiche.

Numerose sono le scoperte fatte da ALATE fin dal 2011: esse hanno aperto una pagina ignota nella conoscenza delle vicende preistoriche e protostoriche degli arcaici Apuani, in particolare nella Terra di Luna, di quella Dea Bianca amata dagli Apuo Liguri che non si rappresentano in altro modo se non con la testa di luna appunto, prosaicamente detta dai più “a cappello di carabiniere”. E Luni da Luna, seppure in epoca storica, chiamarono gli inclusivi Romani quella sentinella a destra dell’Arno, a contenere i guerriglieri giunti ad occupare Pisa e spingersi fino ad Arezzo, a guardia dei ribelli ancora rimasti nonostante le deportazioni, affinché li dissuadesse a ritentare la prova di resistenza che ai miei antenati Sanniti andò infine fallita. Clamorosa però, fino a rimanere nell’espressione universale il detto “passare per le forche caudine”, quelle che nel 321 a.C. rimasero indigeste ai Romani umiliati dalla bruciante sconfitta inflitta loro dai Sanniti. Altrettanto bruciante, sebbene ne sia rimasto men vivo ricordo, la sconfitta subita dai Romani ad opera degli Apuo-Liguri al Saltus Marcius, sull’identificazione del quale numerose le supposizioni, che a poco o nulla di scientifico sono approdate sinora. Ne scrive Tito Livio, il grande patavino del quale quest’anno 2017 ricorre il bimillenario nel più assordante silenzio della “cultura ufficiale”, a riprova dell’intento di cancellazione della nostra identità culturale di popolo, cosa che in ogni modo si sta colpevolmente perseguendo. Lo stesso fiorire delle Associazioni culturali, come dimostra l’Istituto Storico della Versilia, sono un segnale della volontà suppletiva dei singoli, nella crisi diffusa dei nostri valori fondanti. Quanto alle scoperte di ALATE, una in particolare, quella della Navicella Ligustica, è di eccezionale portata, in quanto va ad incidere su un’ottica storiografica data per assodata e archiviata con sufficienza, richiedendone la revisione. Si tratta della leggenda di Apua, dimostrata al contrario reale e viva, non leggendaria, come già aveva intuito quel sublime maestro di storia lunigianese che fu Manfredo Giuliani. Oggi ALATE lo onora con la scoperta e la decrittazione della Navicella Ligustica soprattutto, a dimostrazione che la sua visionaria intuizione aveva un solido fondamento. La scultura di una barca solare, con tutte le implicazioni demo-etno-antropologiche che vi sono connesse, sui dirupi, a circa mille metri di quota, soverchiata da accumuli di detrito, all’improvviso viene alla luce, svelando l’ignoto ai pervicaci ricercatori e agli studiosi di ALATE, avvolta in una duplice cornice oblunga, quella medesima dello scudo oblungo degli Apuo Liguri di cui scrivono gli storici, la cornice oblunga che avvolge anche l’incisione detta Bassorilievo della Stele, richiamante le note statue del Museo del Piagnaro e

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del Museo Archeologico Formentini di La Spezia, o l’incisione detta della Mandorla Sacra, quella del Cammeo Arcaico e dello stesso Scudo Oblungo che si erge al di sopra del cranio dolicocefalo rappresentato nel Cammeo stesso, dicono chiaramente che l’autore è un popolo che si tramanda ai posteri e scrive sulla roccia, incide, scolpisce persino un tempio a pilastro per celebrare la nascita e che possiede un’anima duplice: marina e montana. E’ l’arcaico popolo Apuo Ligure. Arcaico, non storico come fu quello dei suoi discendenti, fieri oppositori dei Romani. Lo manifestano tutte le incisioni rupestri, ma una in particolare, rivelatasi da poco: la Scena di Caccia, un’incisione che finalmente riporta due armi tra le quali si colloca la testa forse di un cervide, ottenuta a bassorilievo pittorico e posta al centro tra un’ascia neolitica dalla tipica punta ad angolo acuto da una parte, ottenuta a percussione diretta, e dall’altra un pugnale dalla forma tipica dell’Età del Rame, come fu quello di Oetzi o quelli di Remedello. Di conseguenza la datazione è da collocarsi tra il Neolitico finale e l’Età del Rame. Il Consiglio dell’Assemblea della Regione Toscana ha riconosciuto il valore dell’operato gratuitamente svolto e i suoi apprezzabili esiti, stampando il volume “Il culto della Dea Madre nella Terra di Luna”, scritto dalla presidente di ALATE

Attendiamo fiduciosi che anche la Soprintendenza, cui da anni sono state comunicate da me personalmente le nostre ricerche, voglia fare verso l’Archeoclub ALATE i passi che sono previsti in casi simili, mentre sentiamo gli immancabili professionisti di opportunismo alle calcagna, cosa che ancor più ci rende decisi ad ottenere il riconoscimento ufficiale delle istituzioni italiane, come già avvenuto in ambito internazionale, grazie alle ormai numerose pubblicazioni in inglese, rivolte a 50 Paesi del globo, sotto la direzione del grande Emmanuel Anati.

Angelina Magnotta

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